Grande giro oggi nel mio Salento. Lecce, Torre dell'Orso, Otranto, Porto Badisco, Santa Cesarea Terme, Castro.. Di questi tempi la mia terra è magnifica. La Primavera si sente. Il sole ci chiama. Il mare ci accoglie... Sentiamo scaldarci il sangue dentro. E sbocciamo..
Pare che le lacrime siano nate nel corso dell'evoluzione della specie, e precisamente nel momento in cui i pesci lasciarono la profondità del mare, e cmparvero sulla terra i primi anfibi, che avevano la necessità di mantenere sempre umido il cristallino dell'occhio, non trovandosi più costantemente in acqua. Nacquero così le lacrime basali. Ciascuno di noi ne sviluppa quindici centimetri cubici all'anno. Esse non si trasformano mai in goccia vera e propria, e servono in sostanza a tenere umido l'occhio. Esistono poi le cosiddette lacrime riflesse, quelle che sgorgano in seguito a un fenomeno esterno, per esempio quando un granello di polvere entra nell'occhio, o quando si affetta una cipolla. E infine le lacrime emotive, dette anche psicologiche, che dipendono da fattori appunto emotivi. Nelle lacrime si ritrovano circa 130 sostanze diverse. Le lacrime basali e riflesse differiscono completamente per composizione da quelle emotive. Le lacrime emotive contengono infatti più proteine, più potassio e manganese. In particolare il manganese è presente per il 30 % in più. Dal momento che il manganese si trova in abbondanza nel cervello dei depressi, forse il pianto ha la funzione di alleviare la depressione, poiché consente di espellere il manganese in eccesso. Inoltre nelle lacrime versate per emozione è presente in abbondanza l'ormone adrenocorticotropo, che è un ormone indicatore dello stress. Nessuno sa ancora se, tra le lacrime emozionali, le lacrime versate per amore abbiano una composizione differente da quella delle lacrime versate, per esempio, per la morte di una persona cara, o per rabbia, o per commozione mentre si legge un libro o si vede un film. E nessuno a oggi può dire veramente a cosa servano le lacrime d'amore.
mercoledì 23 aprile 2008
Sono stanca.Delle parole proferite per il gusto di dirle. Della gente che finge coerenza e ha solo paura. Sono incoerente io. E un po' di paura ce l'ho anche. Ma vivo. Cazzo se vivo. Sono stanca di ascoltare, di aspettare, di promesse vane che il vento e il tempo portano via. Sono stanca di illudermi continuamente che qualcosa possa cambiare nell'animo umano. Sono stanca di credere ogni volta e di raccogliere sabbia. Merda. Devo pensare a me. Non aspetterò stavolta.Non questa volta. La mia vita è scolpita da attese. E mi sono stancata. STANCATA. Voglio vivere. Ogni giorno. QUESTA VOLTA NO. Ho bisogno di dimostrazioni una volta tanto, non di parole. Che della gente che dice e dice mi son stancata. La gente non capisce che un treno che passa, passa. Potrebbe ripassare più tardi. Forse. O forse no. Io sto per salire su quel treno. E oggi ci sono..Perché voglio vivere. Domani non so. Ci sono. Ora. Cazzo. Si pensa di avere sempre tutto il tempo del mondo. E invece non è così. In questa attesa si perdono le cose più belle. La vita va respirata.
martedì 22 aprile 2008
Ruoto, incessantemente. Come fossi su una giostra che ripete lo stesso giro. Sono una circonferenza; gli altri non appartengono al mio cerchio. Lo sogno. Jung mi suggerisce una parola all'orecchio. Un archetipo che parla di me: MANDALA. Chi sono io? Sono distante dal centro, dal mio centro. L'Io è distante dal Sé e, in qualche modo, non lo raggiunge.. La sento questa distanza. E mi infastidisce. La mia mano segna una doppia linea della vita. Me lo avevano detto. Vento e stasi. Iperattività e apatia. Libertà e radici... Non è semplice. A girare come una trottola alla fine si cade. Mi gira la testa.. Mi cerco e non mi trovo. Forse.
Sì, ma chi ci guarirà dal fuoco sordo, dal fuoco incolore che corre all'imbrunire per rue de la Huchette, uscendo dai portoni tarlati, dagli atrii angusti, dal fuoco senza immagine che lambisce le pietre e spia nei vani delle porte, come faremo per lavarci dalla sua bruciatura dolce che continua, che s'insedia per durare alleata al tempo e al ricordo, alle sostanze appiccicose che ci trattengono da questa parte, che ci brucerà dolcemente fino a bruciarci. Allora è meglio patteggiare come i gatti e le muffe, stringere amicizia immediata con le portinaie dalla voce roca, con le creature pallide e sofferenti che spiano dalle finestre giocando con un ramo secco. Ardendo senza tregua così, sopportando la bruciatura centrale che avanza come lento maturare del frutto, essere il polso di un falò in questo groviglio di pietra interminabile, camminare nelle notti della nostra vita con l'obbedienza del sangue nel suo circuito chiuso
La mia voce sa di fiato spezzato. I miei passi sono sordi. Le mie mani, intagliando l’aria, scolpiscono pensieri. I miei occhi ridono, piangono, sentono, parlano. Comunico. Con tutto il corpo. Ciò che la natura mi ha negato, io ho imparato a inventarlo: le mie parole plastiche occupano il vuoto apparente, vibro attraverso suoni tattili. In questa piccola stanza d’ostello mi sento forte. Sono forte. Ogni volta che infilo il mio zaino da viaggio, mi rendo conto di quanto io sia perfetta. La stanza è essenziale: letto a castello, bagno in camera; ampia finestra. Mi arrampico sul letto di sopra: dall’alto mi sembra di poter controllare tutto meglio. Mezz’ora, un’ora. Rimango sul letto, cuscino dietro la schiena. Abbraccio le mie ginocchia e continuo a fissare la porta. Prima o poi si aprirà. Non voglio farmi cogliere di sorpresa, essere spiata nella ritualità delle mie intime azioni. Ecco: si apre. Entra un ragazzo, ha il viso simpatico, mi ispira fiducia. Le sue labbra mi dicono “ciao” e io gli sorrido. Lascia il suo zaino a terra, si avvicina, mi offre la mano, che io prontamente stringo. Si chiama Marco. Io muovo la bocca, cercando di sillabare al meglio il mio nome: Anastasia. Ma puntualmente la voce muore prima ancora di nascere. Marco mi guarda perplesso e si avvicina con l’orecchio per sentire meglio. Io gli accarezzo il volto per legare il mio viso ai suoi occhi. Scuoto la testa, ridendo, in segno di dissenso. Prendo la penna e il quaderno che ho alla mia sinistra e scrivo a chiare lettere: Anastasia. Lui mi guarda, e in quell’attimo percepisco il suo disagio, annuisce e abbozza un sorriso. China la testa, mi da le spalle, come rapito dal suo mondo, e si piega sullo zaino. Prende un libro e si stende sul letto. Impossibile ora comunicare. Mi ha tagliata fuori. Io sopra, lui sotto, lui con i suoi suoni, le sue parole e i suoi pensieri, io con i miei gesti e la mia scrittura. Mi ha scaraventata nel mio spazio sordo. Ci sono abituata, non è la prima volta che mi capita. Mi sento sola e fisso il lampadario. La luce artificiale a suo modo mi riscalda, mi è compagna, al buio tutto mi sfugge. No, non voglio. La solitudine mi martella nelle orecchie e la sento. Ho bisogno di leggere le tue parole Marco, non puoi rimanere lì, lontano da me. Il mio spazio è il tuo spazio, questa stanza ci culla, insieme. Mi metto in piedi sul letto e tocco il lampadario, facendolo oscillare. Le ombre danzano irrequiete per la stanza. Marco si affaccia dal suo letto, con la testa rivolta verso l’alto. Mi guarda, inarcando il sopracciglio, tra il perplesso e l’indignato. Io gli sorrido, mentre una lacrima mi solletica, impertinente, il viso. Gli occhi di Marco, ora, sorridono. Si alza e si arrampica sin sul mio letto. Si siede accanto a me. Io continuo a guardarlo, ridendo. Ridiamo. Mi da un bacio sull’orecchio. È il suono più dolce che abbia mai sentito. Il mio amico ha letto la mia protesta. So che questa notte sarà lunga e parleremo, ognuno a suo modo…
La Maga aprì gli occhi, si mise a pensare. -Tu nn potresti- disse -Pensi troppo prima di fare una cosa.- -Parto dal principio che la riflessione deve precedere l'azione, stupidina- -Parti dal principio.- disse la Maga -Che complicato. Sei come un testimone, sei quello che va al museo e guarda i quadri. Voglio dire che i quadri sono là e tu sei nel museo, vicino e lontano nello stesso tempo. Io sono un quadro, Rocamadour è un quadro. Etienne è un quadro, questa stanza è un quadro. Tu credi di trovarti in questa stanza, ma non ci sei. Tu stai guardando la stanza, non sei nella stanza.-
Vacanza: Qualcosa di vuoto Silenzio Annullare l'azione Stasi muta Assenza Non senso Non esserci Alienazione
Fai vacanza nel mio cuore...
Ancora silenzio e ancora silenzio.
In questo ritmo scandito solo dal mio battito mi specchio in una solitudine cosciente di un nome di cui ha perso memoria.
Sei...e non sei e di questo rimane una scia come un solco, dentro...